Stefan - Katherine - Fuori trama

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RpTvd Admin
CAT_IMG Posted on 1/6/2013, 19:18




Stefan *Sorso dopo sorso, il mio palato s'inebriò di un sapore dolciastro e la mia gola venne riscaldata da quello che era il sangue della mia vittima. Una ragazza capitata nel bosco per caso, e che, sempre per caso, aveva incontrato lì la sua fine. Una fine piuttosto tragica, una fine che non sapevo se definire più triste per me che ero diventato un mostro o per lei che, smarrita la via di casa, cercava solo qualcuno disposto ad aiutarla. Dopo aver bevuto fino all'ultima goccia di sangue di quel corpo così piccolo e minuto, ormai completamente dissanguato, lo lasciai cadere bruscamente per terra e portando il dorso della mano alla bocca, ne pulii gli angoli. Diversi furono i minuti in cui osservai il cadavere e pochi furono i secondi con cui me ne disinteressai senza alcun rimorso. Preso per i piedi, trascinai il corpo lontano da lì, per evitare spiacevoli inconvenienti, e lo nascosi sotto un mucchio di foglie. Strofinai le mani l'una contro l'altra per pulirle e, aggiustatomi la giacca di pelle nera, mi allontanai silenzioso e furtivo cercando di non dare nell'occhio. Poche ore e sarebbe calata la sera. Il sole sembrava prepararsi per cedere il posto alla luna e a quel buio che stesso la sera avrebbe portato con sé. Il bosco era animato nient'altro che da ombre inquietanti persino per me che ero un vampiro centenario lasciatosi ormai andare a quello che era il suo lato più oscuro e macabro. Passo dopo passo il mio cammino veniva accompagnato dai miei lunghi sospiri. Senza alcun motivo mi ritornò alla mente Lexi. Mi chiesi cosa avrebbe pensato o fatto se mi avesse visto in quelle condizioni e, immaginando una delle sue probabili reazioni, un sorrisetto divertito comparve sulle mie labbra. Scossi subito il viso cercando di scacciare via il suo ricordo, quasi per paura di sentirne la mancanza e di ammettere a me stesso che avevo bisogno del suo aiuto. Sapevo più di quanto potevo solo immaginare che dentro di me c'era ancora lo Stefan di una volta, ma sapevo anche che se gli avessi permesso di riemergere, di ritornare a "vivere", tutto quello che avrei sentito sarebbe stato solo dolore, rimorso e senso di colpa. Quel senso di colpa che mi accompagnò per ben 163 anni, quel senso di colpa che smise di venirmi a fare visita quando decisi di lasciarmi andare a quel lato che faceva paura più a me stesso che alla gente che mi circondava, gente che avevo allontanato da me per una ragione o per un'altra. Una folata improvvisa di vento mi fece ritornare su quello che era il sentiero di ritorno verso casa distraendomi da quei mille pensieri che ancora una volta avevano invaso la mia mente. Socchiusi di poco gli occhi e, chiudendomi per bene la giacca, portai le mani nelle tasche di essa. Il buio calò prima del previsto, ma da lontano riuscii comunque ad intravedere il Pensionato. Arrivato all'ingresso aggrottai le sopracciglia vedendo le luci del salotto accese e deglutii quando non mi ci vollero nemmeno le chiavi per aprire la porta. Avessi saputo che Damon si trovava in casa non sarei mai stato così attento a mettervi piede dentro. Una volta entrato avanzai con passo lento e attento guardandomi attorno.* Damon? *gridai cercando di capire se era ritornato prima di quanto potessi immaginare, ma non vi fu risposta.* Elena? *poco dopo gridai anche il suo nome. Ultimamente il Pensionato era divenuto anche casa sua, e quindi mi venne spontaneo chiamarla. Certe volte provavo pena nei suoi confronti. Si ostinava a credere che per me c'era ancora speranza, una speranza che ritenevo morta insieme a me quando decisi di "spegnere tutto". Eppure pronunciare il suo nome scatenava in me una strana sensazione, che decisi di rinnegare sin dal primo momento. Tirai un sospiro di sollievo quando realizzai che la casa era vuota. Stare solo ultimamente mi riusciva più che bene, anche meglio di come, da qualche mese a questa parte, mi divertivo a dissanguare corpi qua e là. Sfilai via la giacca gettandola da qualche parte e non appena avanzai di un altro passo verso il salotto mi ritrovai per terra. Chiusi gli occhi e una volta che il pavimento attutì violentemente la mia caduta li riaprii scorgendo sopra di me Katherine. * Sai, di sopra ci sono tante stanze, ma se preferisci qui, di problemi non ce ne sono. *dissi sarcastico sorridendo divertito cercando di mascherare lo stupore che mi aveva stroncato lì su due piedi nel rivederla dopo secoli.* — con Katherine Unbreakable Pierce.

Katherine *Se avessi pensato prima che potesse bastare fare un così piccolo servizio a Klaus per ottenere la mia tanto agognata libertà, avrei sicuramente risparmiato fiato e ossessioni. Strinsi le dita sul volante, lasciando che le mie nocche diventassero bianche. Non mi ero mai seriamente odiata per aver sprecato tutto quel tempo; la verità era che, senza più catene, mi sentivo tremendamente annoiata. Dovevo ammettere che scappare dal mio carnefice per secoli era diventato uno sport interessante. Ora che mi ritrovavo senza un obiettivo, non avere un centro di energia – positiva o negativa che fosse – mi spezzava. Mystic Falls stava divenendo un ricordo sbiadito nella memoria, così non rimasi stupita quando d’improvviso, nel bel mezzo di una notte solitaria, inchiodai sulle quattro ruote e invertii il senso di marcia. Quella cittadina, mi doleva ammetterlo, era l’unico posto in cui potessi sperare, per una volta, di porre le mie radici; in cui potessi sperare di condurre una vita normale, stretta a quegli appigli di umanità a cui mi sentivo umanamente legata. Più mi facevo vicina a quella mistica cittadina e più il sangue fluiva caldo nelle mie vene, dandomi quasi l’impressione che, prima di allora, avessi vissuto ibernata nel ghiaccio della mia stessa immortalità. Bastò notare con la coda dell’occhio un cartello deforme sul ciglio della strada, che stava ad indicare un lugubre benvenuto, ed io, sì, mi sentii subito a casa.

Posteggiai la mia auto “gentilmente presa in prestito” davanti al vialetto d’ingresso del pensionato dei Salvatore, non avendo la benché minima idea di cosa mi sarei trovata davanti, bussando alla loro porta – o meglio, di chi mi sarei trovata davanti -. Presi un lungo respiro prima di scambiare il mio caldo sedile con il gelo dell’esterno e mi diressi con passo sicuro al portone.Tre colpi secchi e venne ad aprirmi Damon, il fratello che più di tutti aveva provato pura ossessione nei miei confronti. Non mi meravigliai nel vederlo inarcare scettico un sopracciglio, come era solito fare quando lo si coglieva impreparato; ciò che lì per lì non compresi fu la trasformazione graduale della sua espressione da “sorpreso” a “mister sorriso tutto un programma”. Soltanto quando mi fece accomodare nella penombra del salone e mi aggiornò su tutto ciò che mi ero persa durante il mio vagabondare, capii dove volesse arrivare: Stefan aveva spento le sue emozioni e si era trasformato in uno squartatore senz’anima, per via di Klaus; secondo un’audace teoria di Damon, soltanto io avrei potuto smuovere la sua coscienza. Il pensiero di Damon partiva dal presupposto che, pur amando Elena follemente, Stefan non mi avesse mai dimenticata, non del tutto, almeno; e voleva che utilizzassi la mia migliore arma per poter scatenare in lui qualcosa di più simile ad un’emozione: il tutto attraverso la mia stimata arte di seduzione.

Dopo essersi assicurato che portassi a termine con successo il mio compito, mi lasciò sola con i miei dilemmi e contraddizioni interiori, intenda a mordermi le labbra, incerta sul da farsi. Mi ritrovai a percorrere più volte il perimetro della stanza, con la tentazione di fuggire via, come ero abituata a fare; ma c’era un qualcosa di non identificato che mi teneva con i piedi piantati in quella casa e non mi lasciava tregua. Mi fu necessario solamente scorgere tra le luci soffuse il volto di Stefan e udire la sua voce per comprendere cosa sentissi dentro di me: pura compassione verso di lui; e notare con amarezza che il suo volto assomigliasse a quello di un essere dimenticato da Dio, mi diede quella forza immane che avrebbe fatto sì che potessi tirarlo fuori dal baratro, anche se avessi dovuto farlo con le unghie.
Era arrivato il momento di agire nel modo migliore. Non potevo permettermi di commettere errori.
Lo atterrai sul pavimento, sedendomi comodamente sui suoi fianchi, mostrando gli occhi e il sorriso di chi volesse giocare sporco. Strusciai le mie mani sul suo petto, corrucciando le labbra alle sue parole.*

Ciao, squartatore.

Stefan *Rimasi per terra immobile seguendo attentamente ogni suo movimento, anche il più piccolo. Un sorrisetto malizioso era ormai stampato sulle mie labbra, ma rimasi in silenzio. Non appena incontrai il suo sguardo, la mia mente mi riportò nel lontano 1864, esattamente ad uno dei nostri tanti appuntamenti notturni. Quella posizione, quello sguardo, la sua voce, erano dettagli esattamente identici a quelli di qualche secolo fa. Prima di far riemergere quella che era la mia parte più buia, mi capitava molto spesso di volgere uno sguardo al passato, doloroso o meno che fosse. Un passato al quale gli si poteva anche dare un nome: Katherine. Benché fosse passato molto tempo, era ancora un tasto dolente per me. In qualsiasi circostanza, faceva parte del mio carattere portarmi dietro le cose, quelle cose che difficilmente si dimenticano, soprattutto se hanno portato con sè più disgrazie che bei momenti. Certe volte era difficile anche per me non ricordare, altre volte me lo imponevo, e altre volte ancora lasciavo che la mia mente viaggiasse tra i ricordi, punzecchiando il mio cuore ormai fermo da secoli con la felicità o col dolore che provai a quel tempo. Numerose, forse anche troppe, erano le domande che mi ponevo sul mio passato, su Katherine e su quello che combinò sia con me che con mio fratello Damon, e ogni volta che cercavo di provare almeno un minimo d'odio nei suoi confronti, nella mia mente appariva lei, in tutta la sua bellezza ed eleganza, un qualcosa da lasciare senza fiato. Dopo allora fu soltanto Elena a farmi capire quale fosse il senso di "andare avanti" e ci riuscii. Fosse capitato qualche mese prima, Katherine non mi avrebbe di certo colto così sarcastico e impassibile, anzi, sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire. Assorto nei miei pensieri, quasi mi dimenticai di Katherine. Scossi così la testa e ritornai a guardarla. Le spostai una ciocca di capelli dal viso sfiorandole una guancia e con uno scatto mi alzai improvvisamente bloccandola contro una parete tenendo una mano attorno al suo collo.* Katherine. *dissi quasi in un sussurro con un tono di voce calmo e placato senza permettere al sorrisetto malizioso di sparire dal mio viso.* A cosa devo questa tua visita improvvisa? *chiesi inclinando di poco il viso da un lato per guardarla meglio e più attentamente cercando di scorgere qualcosa nei suoi occhi, ma niente, era tutto un mistero, così sospirai e aspettai una sua risposta. La tenni ben ferma contro il muro senza stringere molto la presa sul collo. Era come se tutto il tempo perso a piangermi addosso in quegli anni, fosse riemerso in poco tempo in quel salotto davanti a Katherine. Chi l'avrebbe detto che sarebbe bastato semplicemente spegnere le mie emozioni per disinteressarmi delle persone una volta per tutte. O forse era quello di cui volevo convincermi. Questo era ciò che volevo? Fregarmene? Lasciar perdere le persone a cui forse dovevo tutto? Distrattomi ancora una volta scossi il viso vietando così ai miei mille dilemmi di influire su quella che era la mia posizione.* Allora? *fu tutto quello che uscì dalla mia bocca vedendo Katherine esitare nel darmi una risposta.* Anche se non sembra, non ho molto tempo, Katherine. *dissi sarcastico accennando un altro dei miei sorrisetti misti tra il divertito e l'impaziente.*

Katherine Pensavi fossi Elena?

*Notai con piacere che, nonostante si trovasse in uno stato irrecuperabile, era sempre lo stesso, inimitabile, Stefan Salvatore. Sebbene i suoi occhi fossero impenetrabili e neri più della pece, riuscivo a scorgere quello spiraglio di umanità che - da demone quale fosse – lo rendeva unico nel suo genere. Egli portava con sé nella sua immortalità una purezza che raramente un vampiro conservava dopo la metamorfosi dannata. Danzava con i peggiori demoni interiori, ma la sua anima era molto più tenace. Avrebbe potuto serrarmi benissimo la gola con un dito, ma non lo fece; rimase a fissare le mie iridi, perdendosi con facilità nei meandri della sua testa. Chi osava affermare che Stefan non era altro che un punto di non ritorno, non doveva conoscerlo così bene come credeva. Allungai una mano lungo la linea tesa delle sue spalle, giungendo al suo collo. Con una carezza appena accennata, alzai il suo mento con un gesto, stringendo appena le ossa del suo mento. Eravamo pari. Non si trattava di una lotta per stabilire chi fosse più forte, piuttosto di chi avrebbe sostenuto di più lo sguardo indagatore dell’altro. Conoscevo bene quella ruga che compariva sulla sua fronte quando si sforzava di trovare una soluzione logica a qualcosa di momentaneamente inspiegabile, tanto più potevo sentire risuonare l’eco dei suoi monologhi interiori senza sentirglieli necessariamente pronunciare.*

Prima mi inviti ad una sveltina sul pavimento, ti decidi a farmi il terzo grado e poi mi rinfacci anche che hai poco tempo? Mi deludi, Stefan.

*Curvai le labbra in un sorriso e spostai la mia mano sul suo polso che mi teneva schiacciata contro il muro, torcendoglielo con facilità. Libera dalla sua presa docile, mi dileguai alle sue spalle, dandogli uno schiaffo di incoraggiamento. Per quanto potesse essere divenuto forte con al nuova dieta/stile di vita, io risultavo sempre essere più vecchia e dotata di maggior forza. Seguii le venature del parquet, sino all’angolino alcolico privato di Damon, versandomi poi da bere. Strinsi tra le dita il bicchiere appena riempito di liquore e mi voltai verso Stefan con un sorriso ammiccante.*

Ti unisci a me per un drink o rimani lì a fissare il muro, piangendoti addosso, per tutta la sera? La notte è lunga, tesoro. Non lasciare che ti scivoli addosso, così come tutta la tua vita.

*Alzai gli occhi al cielo e senza attendere una sua risposta, posai il mio bicchiere sul tavolino e ne colmai di dolce whiskey un altro. Per la stanza si sentì estendersi un delizioso profumo di alcol pregiato, tant’è che chiunque avrebbe potuto rimanerne inebriato. Piroettai su me stessa, mostrando in bella vista ciò che sarebbe dovuto essere la consolazione di Stefan, agitando il liquido al suo interno affinché potessi stuzzicare di più le sue voglie. Quando Stefan era perso nel suo corpo, poteva divenire una spugna alcolica più di suo fratello. La chiave per farlo parlare, per guardarlo dentro, era farlo parlare; e chi ci sarebbe riuscito meglio, se non del sano Bourbon, invecchiato cinquant’anni? Rimase immobile a fissarmi con gli occhi ridotti ad una fessura. Sbuffai davanti alla sua frustrante e riconquistata compostezza.*

Suvvia, Stefan, carpe diem. Fatti un drink e non pensarci più. Potrei seriamente credere che tu non sia uno squartatore e lo sbandiererei a tutto il mondo. Sappilo.

Stefan *Furono pochi i minuti in cui l'uno si perse nello sguardo dell'altro, alla ricerca di cosa andavamo, però, non si capì. Preso alla sprovvista, mi ritrovai poco dopo a fissare una parete vuota, massaggiandomi un braccio dolorante. Mi girai lentamente verso di lei e rimasi in silenzio a fissarla, continuando, ancora una volta, a seguire ogni suo movimento con lo sguardo. Ogni sua mossa era un gesto fatto per stuzzicare, o meglio ancora, per provocare. Nonostante fosse passato molto tempo, capire Katherine non mi era più così difficile. Si divertiva, era spensierata, agiva come meglio le sembrava, e prendeva ogni tipo di scelta e decisione, giusta o sbagliata che fosse, non curante delle conseguenze. Poco le importava chi ci rimetteva, l'importante era che non ci andava lei di mezzo. Scossi più volte il viso, accennando appena un sorriso, sentendo le sue parole e alzai poi le mani in segno d'arresa.* Touché. *fu l'unica cosa che mi limitai a dire abbozzando un sorriso più che divertito sulle labbra.* Manderesti all'aria quella che è la mia carriera di squartatore, sai? *chiesi ironico guardandola. Mi avvicinai lentamente a lei finendo col viso poco distante dal suo, poggiando il mio sguardo prima sulle sue labbra e poi sui suoi occhi.* Molto gentile. *dissi prendendole il bicchiere di Bourbon e portandolo poi alle labbra.* Fa' come se fossi a casa tua! *sorrisi divertito alzandole il bicchiere come se stessimo brindando e mi avviai poi di sopra senza preoccuparmi tanto di lei. Salii le scale con tutta tranquillità e una volta arrivato di sopra poggiai il bicchiere ormai vuoto sulla mia scrivania. Sfilai via la maglia e andai alla ricerca di una canottiera pulita. Tra le tante cose di cui non mi preoccupavo ultimamente, vi era anche la mia stanza. Tra una vittima e l'altra ci passavo pochissimo tempo, così come passavo pochissimo tempo al pensionato stesso. Più ne stavo alla larga, meglio era. Mentre ero assorto nelle mie ricerche, presi la bottiglia di Scotch conservata quasi strategicamente nel secondo cassetto del comodino vicino al mio letto. Presa la bottiglia riempii il bicchiere fino all'orlo e, iniziando a bere, continuai a cercare un qualcosa da indossare. Tra un sorso e l'altro rimasi anche ad ascoltare quello che Katherine combinava di sotto. Il silenzio non prometteva nulla di buono, ma nonostante questo rimasi comunque in camera mia riempiendo di tanto in tanto il bicchiere. Bere placava la mia sete di sangue, e quando proprio non ne potevo più uscivo e mi nutrivo del primo passante capitato per sbaglio da qualche parte. Rimasi così a torso nudo intento per quasi mezz'ora a cercare ciò che mi serviva, senza badare più di tanto a ciò che probabilmente stava accadendo di sotto o che da un momento all'altro sarebbe accaduto stesso nella mia stanza.*

Katherine *Inarcai un sopracciglio smettendo di sorseggiare il mio Bourbon. Rimasi incredula nel constatare che con la sua calcolata non curanza mi stesse realmente istigando a giocare, giocare con lui. Posai senza fare rumore il mio bicchiere sulla superficie del tavolo e seguii con lo sguardo, senza batter ciglio, il suo improvviso desiderio di rintanarsi al piano superiore. Da quanto ricordavo, era lì che si trovavano le camere da letto… ma quale strana coincidenza. Stefan svanì dopo poco dal mio campo visivo, ma il mio udito sottile sostituì simultaneamente la funzione degli occhi, narrandomi nel particolare, come un film, ciò che stava combinando tutto solo: dal denudarsi della canottiera al levare dal nascondiglio/comodino la migliore bottiglia invecchiata che possedesse. Accettare o rifiutare? I minuti passavano senza che me ne rendessi conto, e se avessi deciso di restare, sarebbero stati attimi preziosi sottratti al gioco. Stavolta la scappatoia che stavo cercando era più vicina che mai e mi fu quasi impossibile non calcolare quanto avrei impiegato per raggiungere il portone. Ma, sarei stata in grado di passare oltre i miei appetiti? Prima che potessi rispondere a me stessa, avevo già raggiunto Stefan nella sua camera. I muscoli contratti della sua schiena si rilassarono come immaginai il suo viso. Sembravano aver sussurrato un sofferto “Era ora!”. Mi appoggiai con le spalle al muro, focalizzando l’attenzione sulla sua figura perfetta. La maschera da squartatore gli calzava a pennello, gli donava quel non so che in più che lo avvicinava più allo Stefan delle mie fantasie che al passionale corteggiatore del lontano Ottocento. Forse per via dei tempi, forse perché mi sentivo annoiata quanto lui nella mia solita quotidianità, quella situazione si prospettò più stuzzichevole di quanto avrei potuto immaginare. Avevo dato per scontato l’ascendente che Stefan aveva su di me, quel potere di conquistarmi con una parola o un gesto spontaneo della mano. E adesso che l’aria si faceva più intima, mi sentii realmente coinvolta nella fugacità degli attimi. Azzardai un passo in sua direzione e con movimenti sinuosi delle anche incominciai a girargli intorno, seguendo con un dito la linea del suo bacino. Si irrigidì appena al mio tocco, ma con un sospiro di resa si lasciò deliziare dai miei disegni immaginari.*

Allora, Stefan... cosa proponi di fare? Obbligo o verità? Strip Poker? O i tuoi avvezzi sensi da predatore ti suggeriscono di agire direttamente?

*Mi fermai alle sue spalle e vi posai sopra le mani, scivolando giù lungo il suo petto. Il mio corpo aderì perfettamente al suo e le mie labbra così vicine al suo collo che, se avessi alzato leggermente il mento, avrei potuto sussurrare al suo orecchio. Mentre le mie mani si impadronivano del calore della sua pelle, riportai la memoria indietro, a quando impiegavo i pomeriggi oziosi d’estate a coccolare un giovane e umano Stefan all’ombra di alti alberi; soltanto noi e il fruscio delle fronde in collisione tra di loro. Mi piaceva prendermi cura di lui, deliziarlo con il solo potere delle carezze; ma ricordavo anche quanto mi affascinasse l’idea di vedere il lui quel pizzico di passionalità verace che brillava negli occhi di Damon. Mi attraeva l’idea di idealizzare lo Stefan dei miei sogni, un ibridazione con suo fratello. Quella sarebbe stata la perfezione a cui non avrei saputo dire, per una volta, no. Posai le mie labbra sul suo collo e lasciai una scia di baci leggeri, trattenendo a stento il respiro.*

Vuoi giocare con me, Stefan? Vuoi giocare come una volta ti piaceva tanto?
 
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